ACCADEMIA DI BELLE ARTI

BARI

CORSO DI PITTURA - II CATTEDRA

TESI IN STORIA DELL'ARTE

I MARTINELLI E LA VILLA MEO-EVOLI A MONOPOLI TRA STORIA, LEGGENDA E REALTA'

 
Relatrice: Prof.ssa MIRELLA CASAMASSIMA

Diplomanda: CINZIA MARASCI

ANNO ACCADEMICO 1991-92


n.d.r.
- Le immagini non sono purtroppo della migliore qualità per l'impossibilità di reperire i negativi originali delle foto; è possibile ingrandire ogni immagine del presente documento con un "click". Il Dott. Leonardo Meo-Evoli ringrazia la Dott.sa Cinzia Marasci per aver concesso l'inserimento del presente documento nel
sito Villa Meo-Evoli Villa Meo-Evoli

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Indice

  • PANORAMA STORICO
  • PRESENZE TURCHE NEL TERRITORIO DI PUGLIA E L'ORDINE DEI CAVALIERI DI MALTA
  • NOTIZIE STORICO-GENEALOGICHE DELLA FAMIGLIA MARTINELLI
  • Fig. 1: Stemma della famiglia Martinelli (Cattedrale di Monopoli)
  • Fig. 2: Particolare della lapide, segno di devozione, a Gesù Crocifisso posta dai Martinelli nell'omonima cappella (Cattedrale di Monopoli)
  • Fig. 3: Iscrizione latina del Pontefice Clemente IV
  • Fig. 4: Lapide commemorativa (Museo villa Meo-Evoli)
  • ALTRI TENIMENTI IMMOBILIARI
  • LA VILLA: DESCRIZIONE ARCHITETTONICA, GLI ESTERNI E GLI ARREDI INTERNI
  • Fig. 5: Prospetto della Villa Meo-Evoli
  • Fig. 6: Lapide commemorativa
  • Fig. 7: Fontana del Bacchetto
  • Fig. 8: Particolare del giardino
  • Fig. 9: Particolare del sentiero che conduce al Museo
  • Fig. 10: Fontana con barca e tartaruga
  • Fig. 11: Particolare del prospetto con vetrata
  • Fig. 12: Particolare interno della vetrata con lampadario di vetro di Murano
  • BIBLIOGRAFIA
  •  

    [ All'indice / To the index ] PANORAMA STORICO

    L'attuale villa Meo-Evoli fu costruita nell'ultimo decennio del XVIII secolo. Ma prima di procedere alla sua descrizione, è opportuno effettuare un'analisi delle situazioni storico-socio-economiche dei secoli che precedettero l'edificazione della villa stessa, poiché queste ebbero grande rilevanza circa l'origine, l'operato e la fortuna della famiglia che la costruì, la famiglia Martinelli.

    Questa discendeva con molta probabilità da una lontana casata veneta. Il suo insediamento sul territorio prima di Mola e poi di Monopoli trova delle possibili spiegazioni nel dominio veneziano cui furono sottoposte, sin dal 1496, le due cittadine accanto ad altre della costa pugliese come Trani, Polignano, Brindisi e Otranto.

    Con il trattato di Granada, 11 novembre 1500, il Re di Francia Luigi XII ed il Re di Spagna, Ferdinando il Cattolico, decisero di occupare e spartirsi il Regno di Napoli, dove regnava Federico III D'Aragona. [Mu]

    In base all'accordo, i Francesi avrebbero occupato Napoli, la Campania e gli Abruzzi; gli Spagnoli la Calabria e la Puglia. Di fatto la Calabria era già nelle mani degli spagnoli, che non persero tempo nel passare in Puglia, occupandola quasi completamente. Mancavano, appunto, le già citate città di Mola e Monopoli dominate dalla Serenissima.

    In seguito ad una battaglia campale per la contesa della Capitanata, davanti a Cerignola, il 28 aprile del 1503, i francesi e gli spagnoli si scontrarono, con la vittoria di questi ultimi che rimanevano i padroni incondizionati della Puglia e si aprivano la via per Napoli.

    Tutto il Regno passava così sotto Ferdinando il Cattolico. Nel giro di pochi anni non fu difficile per il sovrano spagnolo ottenere da Venezia la restituzione delle città costiere pugliesi succitate (1508). [Mu]

    Per la città di Venezia fu un atto tutt'altro che piacevole, riusciva tuttavia ad osservare il controllo dell'Adriatico precludendo l'accesso ad altre flotte. Era suo interesse a che il mare non fosse minacciato da alcuno e non fossero compromessi i suoi traffici. I buoni rapporti con il sovrano spagnolo, poi, consentirono alla Repubblica di San Marco, di mantenere attivissimi i suoi vitali rapporti commerciali con la Puglia: qui poteva continuare ad approvvigionarsi di frumento, olio (per l'illuminazione e l'alimentazione) e vino; qui poteva continuare ad esportare tessuti, seterie, vetri [AV1].

    L'influsso di Venezia spinse la regione ad importare artisti e prodotti d'arte, si pensi alle presenze di opere come quelle di Paolo Veronese, del Tintoretto e della sua scuola e soprattutto di Palma il Giovane.

    Venticinque anni dopo, la tensione tra spagnoli e francesi riprese, tanto che il dominio spagnolo, con Carlo V sul Regno di Napoli, sembra vacillare, avallato anche dal fatto che molte città pugliesi, compresa la stessa Venezia, cominciarono ad appoggiare i francesi. Vi furono altre guerre che prostrarono la Puglia e che videro, ancora una volta, vincitrice la Spagna.

    Nel 1529 Venezia firmò la pace con Carlo V, consegnando all'Imperatore le città di Monopoli, Barletta e Trani. Un funzionario provveditore dell'esercito veneto avrebbe scritto nel 1528 che le terre erano state tolte ai loro feudatari e vendute ad altri feudatari dietro l'esborso di grosse somme; tutta la Puglia era in uno stato di disperazione. [AV1]

    La monarchia spagnola, infatti, sempre a corto di denaro per alimentare la sua macchina bellica, non esitava a vendere le città a nobili potenti, e soltanto se le città erano in grado di pagare le ingenti somme richieste, potevano rimanere "demaniali", ossia sottoposte solo a giurisdizione regia, ma tuttavia autonome. [In]

    Queste cittadine, tra le quali la stessa Monopoli, potevano così evitare la dipendenza feudale, limitatrice del libero gioco delle forze economiche e sociali, inoltre godere di qualche privilegio. Tali comuni avevano i loro statuti e capitolazioni, ossia norme scritte che regolavano la loro vita amministrativa, politica e spesso anche economica e sociale. Naturalmente erano norme rispondenti al numero di abitanti, all'ampiezza del territorio, alle strutture produttive di ciascuna comunità. [AV2]

    Nel 1713 si concludeva la guerra di successione spagnola e la Spagna dovette cedere all'Austria i suoi domini italiani, quindi anche il Regno di Napoli. La Puglia dalla dominazione austriaca ricavò ampi vantaggi. Una politica di traffici e di commerci mediterranei ridiede vita ad un organismo depresso: le esportazioni di olio da Gallipoli e dalla terra di Bari (Monopoli, Bitonto ecc.), quelle della lana da Manfredonia, di grano e di altri cereali da Barletta, Trani, Molfetta, Taranto, verso altri porti italiani come Genova, Livorno e Venezia, e da qui verso altri porti del Mediterraneo. Si aprivano così, nuove prospettive per i più intraprendenti patriziati locali e per i gruppi più attivi di una nascente borghesia. Questo intensificarsi dei traffici si accompagnava ad un aumento della estensione delle terre coltivate e ad un incremento della popolazione specialmente nelle zone agricolo-commerciali. [Mu]

    Ma la battaglia di Bitonto del 1734 combattuta tra le truppe austriache e quelle spagnole, sanciva la fine del poco meno trentennale (1707-1734) viceregno austriaco e l'inizio, con la monarchia borbonica, di una nuova fase storica per il Mezzogiorno d'Italia.

    In terra di Bari numerosi divennero i centri con quasi 10.000 abitanti. Si trattava o di grossi borghi rurali dell'interno o di porti molto attivi nel commercio di lana, grano e olio, come già detto. Queste città erano caratterizzate da una struttura sociale abbastanza articolata, con la presenza di un ceto medio di mercanti e massari capaci di esercitare pressioni sui potenti nuclei di patriziato locale. Il governo cittadino era determinato, infatti, dai nobili da una parte, e dai "civili" o popolo grasso, composto da notai, avvocati, medici, speziali, grossi proprietari e mercanti dall'altra.

    Verso il 1750-1760 vi furono numerose carestie causate dalla siccità, invasione di locuste, gelate che implicarono una vera e propria crisi in Puglia e nel Regno. Le preoccupazioni circa l'approvvigionamento alimentare dei centri urbani, ed in primo luogo di Napoli, nonché le manovre speculative di mercanti e di accaparramento delle derrate da parte dei feudatari e benestanti, crearono notevoli margini di profitto per coloro che disponevano di ingenti quantità di prodotti agricoli, e non solo anche per una fitta rete di usurai che comprendeva oltre ad esponenti del notabilato locale anche il clero. [AV5]

    Tra il 1771-80 ed il 1792-94 la terra di Bari ebbe il primato nella produzione dell'olio che oltre a soddisfare un crescente consumo interno alimentò un commercio di esportazione sempre più immenso. Tale commercio offrì favorevoli occasioni di investimento e di profitto ad un ceto mercantile, quale era quello dei Martinelli, in rapida ascesa economica e politica, in centri costieri come Bisceglie, Molfetta, Bari, Mola, Polignano e Monopoli.

    Tra il XVIII e XIX secolo si assiste ad una espansione della proprietà fondiaria, continua inoltre la secolare tendenza a dare in affitto o a colonia le terre, ricavandone la più alta rendita possibile e scaricando sui fittavoli e coloni i rischi di impresa. Decine di migliaia di ettari di terra incolta o a pascolo furono trasformati in vigneti, oliveti e mandorleti. Si affermò sempre di più la "masseria", l'azienda tipica della media e grande proprietà fondiaria, che si avvaleva di grosse concentrazioni di contadini poveri e di braccianti che, da un lato assicuravano forza lavoro a buon mercato e abbondante, e dall'altra comunque garantivano, anche in caso di scarsa richiesta di manodopera, discreti margini di profitto ai proprietari. [AV5]

    [ All'indice / To the index ] PRESENZE TURCHE NEL TERRITORIO DI PUGLIA E L'ORDINE DEI CAVALIERI DI MALTA

    A partire dal '500 fino ai primi anni del 1800, la Puglia dovette pagare costantemente un grave prezzo per la difesa del litorale dagli attacchi dei turchi e dalle scorrerie dei barbareschi (si intendevano così tutti i pirati africani provenienti dalla Barberia, ossia dalla costa settentrionale dell'Africa e precisamente dalla terra delle tre reggenze, Algeri-Tripoli e Tunisi).

    Per questo in nessuna ricca città costiera poteva mancare una buona cinta muraria integrata in un sistema di avvistamento. Occorreva essere in grado di respingere il primo attacco, che solitamente avveniva di sorpresa, e resistere anche per diversi giorni fino all'arrivo dei soccorsi, non sempre solleciti. Il pericolo era sempre incombente; i più esposti erano i pescatori, che venivano sorpresi in mare e i contadini che lavoravano le terre prossime alla riva. Gli ultimi schiavi fatti in Monopoli furono quattro persone rapite il 26 luglio 1804. [AV2]

    Monopoli per la sua importanza strategica ed economica e per ricchezza di territorio, rappresentava una preda appetibile per l'Impero Ottomano. Per queste ragioni l'Università (comune) di Monopoli potenziò il proprio sistema difensivo creando una cinta muraria simile ad una vera e propria fortezza e dislocando sulla costa una serie di torri di avvistamento per far fronte agli attacchi provenienti dal mare. Per proteggere i beni e le vite dei cittadini a prezzo di grossi sacrifici finanziari anche le esigenze di spazio, evidentissime nei periodi di espansione demografica, venivano sacrificate rispetto alle prioritarie necessità di ordine difensivo, determinando così nel XVII e XVIII secolo condizioni igieniche drammatiche [DV]. Una testimonianza di ciò la fornisce nel 1767 Jhoann Hermann Von Riedesel, viaggiatore tedesco corrispondente del Winckelman, il quale attirato dalla bellezza della città e dal suo pittoresco porto, si inoltrò tra i vicoli della congestionata Monopoli, ma l'esperienza non positiva lo portò a definire la città nel suo libro "nella Puglia del settecento", come spaventevole per il gran numero di gente che la popolava, quasi diecimila anime [Ri]. Tra i sistemi difensivi costruiti sulla costa rientrava anche il castello di Santo Stefano. Fondato nel 1086 da Goffredo il Normanno, Conte di Conversano e figlio di Tancredi di Altavilla, la rocca sorse al tempo delle crociate su di una penisoletta protendentesi tra due insenature che formano due piccoli porti naturali. Fu sede del Monastero dei Benedettini Cistercensi di S. Stefano, i quali diedero il nome alla rocca e ciò per la presenza delle reliquie del santo, poi traslate il 26 dicembre del 1365-68 da Monopoli a Putignano proprio per difenderle da una eventuale aggressione dei turchi. Intorno alla fine del 1200 l'Ordine cavalleresco dei Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme detto anche di Malta, poiché già possedeva una casa-ospedale nella città di Monopoli, decise di trasferirsi nel castello di S. Stefano per poter svolgere agevolmente i suoi traffici in Terra Santa. In seguito alla loro presenza il patrimonio dell'abbazia benedettina si ampliò in relazione all'acquisto di tenimenti lontani, e la vita del monastero subì radicali trasformazioni divenendo albergo e ospedale: qui vi alloggiarono i pellegrini e i Crociati in attesa di salpare per la Terra Santa, inoltre fungeva da cantiere dove i condottieri riparavano le navi e riempivano i magazzini di viveri, nonché da ospedale per medicare i feriti provenienti da Gerusalemme. Santo Stefano fu nel XVIII sec. la più alta dignità dell'Ordine in Italia ed ebbe il privilegio di dare investitura ai più famosi cavalieri del tempo, la cui cerimonia si svolgeva appunto nel monastero. [Li]

    L'Ordine dei Cavalieri di Malta rappresentò la più importante delle istituzioni sovranazionali di cui fosse dotata l'aristocrazia europea; ne facevano parte cavalieri provenienti da Castiglia, Aragona, Italia, Francia, Alvernia, Provenza e Alemagna. Venivano accolti nelle sue fila solo quei "nobili" che volevano combattere in difesa della fede e portare assistenza agli infermi e ai poveri, ma non prima di aver preso parte ad un certo numero di "caravane" o spedizioni navali contro il Turco, ed essere permasti a Malta per almeno 5 anni.

    Ma al di là di questi compiti, entrare a far parte dell'"Ordine dei Cavalieri di Malta" rappresentava un vero e proprio blasone per quei nobili che, non solo possedevano feudi e ricchezze (tra l'altro richieste dall'Ordine) o esercitavano magistrature civiche, ma che soprattutto confermavano così documentalmente le loro qualità nobiliari. Infatti, solo coloro i cui genitori e antenati erano stati ascritti alla nobiltà da almeno 200 anni, dimostrabile con l'esibizione di prove come l'atto di battesimo, certificati di matrimonio dei genitori e degli ascendenti, potevano entrare a farvi parte. [AV5]

    Queste rigide motivazioni previste dallo Statuto per "vestire l'abito di Malta" furono introdotte a causa del fenomeno che si verificò già tra la fine del'500 e inizio del '600: molti esponenti delle classi mercantili e manifatturiere, investendo le proprie sostanze nell'acquisto di feudi, speravano così di poter entrare nei ranghi della nobiltà titolata acquistandone il titolo. Ma questa loro integrazione nel mondo nobiliare doveva necessariamente essere avallata da simboli esteriori come la "croce gerosolimitana" che confermava a pieno titolo la loro "origine nobiliare" e questo status privilegiato consentiva la partecipazione alle attività legislative, politiche e amministrative della città. Pertanto per frenare le ambizioni di gente non nobile che attraverso la manipolazione di documenti, provvedeva a falsificare prove della inesistente nobiltà, fu istituito un Tribunale che ne verificava le effettive origini nobiliari. [Mu]

    [ All'indice / To the index ] NOTIZIE STORICO-GENEALOGICHE DELLA FAMIGLIA MARTINELLI

    Nel 1792, il nobile patrizio salernitano Vito Giuseppe Martinelli (1758-1833) completava la costruzione di una sontuosa villa sulla collina della Cozzana, in territorio di Monopoli e precisamente in Contrada S. Oceano, mentre acquistava altri vastissimi appezzamenti di terreni agricoli che andavano quasi ininterrottamente dalla masseria "Spina", tra Monopoli e Polignano, alla masseria "Monte Albano", tra Fasano e Ostuni.

    La famiglia Martinelli, il cui cognome è sparso in tutta Italia, e trova la sua base nel culto di S. Martino, discendeva con molta probabilità da una lontana casata veneta, anche se prove documentali che attestino ciò non sono mai state rinvenute. Comunque, fuori di dubbio e in base a prove documentali certe, la famiglia Martinelli di Monopoli proveniva dalla vicina città di Mola nella quale erano già presenti dal 1500.

    Il primo Martinelli che si staccò da Mola per dare luogo alla casata nostrana, fu Vito Giuseppe (Mola 1692-Monopoli 1766) avo diretto di colui che successivamente edificherà l'attuale villa Meo-Evoli. [Pi]

    Monopoli con il suo attivo porto commerciale rappresentò per lui un ottimo centro per poter ampliare i propri affari. Il commercio di "sete e pannamenti", che importava dal vicino Oriente, e di legname ricavato da numerose estensioni boschive di sua proprietà esistenti all'epoca, gli rendevano bene, tanto da reinvestire i guadagni ricavati in acquisti immobiliari ed in particolare in appezzamenti coltivati ad ulivi. Fu costui che acquistò nel 1760 la "masseria Spina" da Pasquale Ammazzalorsa. Non ebbe figli e suo erede fu il nipote Clemente (Mola 1711-Monopoli 1780) che lo aveva seguito e che si sposò con Rosa Pizzangroia. Clemente continuò l'attività dello zio circa il commercio di panni e seterie praticando anche la compravendita di olio e vino.

    Da lui discesero tutti i Martinelli monopolitani, compreso Vito Giuseppe, che si imparentarono con nobili casati locali come i Manfredi, gli Indelli, gli Antonelli, i Ghezzi, i Farnaro; e forestieri come i Noja (baroni di Bitetto), i Pandolfelli e gli Antonacci (di Trani), i Tresca-Carducci (patrizi di Bari), i D'Eramo, gli Zaccaria, i Ventura, i Lamonaca e i Correale (patrizi di Sorrento); i quali continuarono attività degli avi incrementando smisuratamente la loro ricchezza. [Pi]

    Ricchi e potenti praticarono prestiti di denaro con alti tassi di interesse, come era in uso fare all'epoca, aumentando così ancor più la loro ingente fortuna.

    Come abbiamo già detto nel capitolo relativo alle notizie storiche, nel XVIII secolo la nobiltà assieme alla borghesia civile, deteneva il potere amministrativo della città, però le prerogative riguardanti l'esercizio di pubblici uffici, di attività legislative o di iniziative economiche erano privilegio esclusivo delle classi nobiliari; pertanto vi furono molte pressioni su questi ultimi affinché la nuova borghesia mercantile, acquistando titoli nobiliari, potesse affiancarsi ad essi nell'esercizio di queste funzioni. La nobiltà reagì di fronte a questo stato di cose con l'istituzione "Registro delle piazze chiuse", (detto così per l'antichissima usanza di alcune famiglie di riunirsi nelle piazze per legiferare) ossia un registro nel quale potevano iscriversi solo le famiglie nobili di una certa tradizione e importanza. così fecero anche i due fratelli Martinelli, Vito Giuseppe (1758-1833) e Francesco Paolo (1755-1818), e poiché la nobiltà monopolitana poco contava rispetto a quelle più importanti della nobiltà salernitana, ottennero l'aggregazione al "Registro delle piazze chiuse" del patriziato di Salerno. La casata fu fedelissima al governo borbonico di Ferdinando IV, il quale per evitare abusi e iscrizioni irregolari istituì il "Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà del Regno" che doveva verificare e portare ordine nei riconoscimenti nobiliari. [Mu]

    Da questo momento i due Martinelli sopra citati divengono guardie del corpo a cavallo, non prima però di aver dato prova di nobiltà facendo parte dell'Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni in Gerusalemme. Ricevono pertanto dal sovrano borbonico uno stemma raffigurante uno scudo ..."d'argento, al lambello di tre pendenti di rosso, sostenente una fenice posta, nella sua immortalità, al naturale, fissante un sole d'oro, posto nel canton destro del capo, e accompagnato in punta da due spade in croce di S. Andrea (simbolo dei Cavalieri di Malta). [Pi]

    Fig.1

    Fig. 1: Stemma della famiglia Martinelli (Cattedrale di Monopoli)

    Si è già detto che fu Vito Giuseppe (1758-1833) ad edificare la villa in Cozzana, "l'ingegnosus et hilaris homo" come egli stesso si definisce nella lapide che ricorda l'ultimazione dei lavori (1792), ma non potendo aver figli trasferì la proprietà della stessa al fratello Francesco Paolo nato nel 1755 e morto nel 1818 sulla strada di Bovino durante un suo viaggio a Salerno. Fu costui l'iniziatore della fortuna della famiglia: il matrimonio con la nobile e ricca Eleonora Indelli patrizia bitontina, gli consentì l'accesso nella gelosa nobiltà monopolitana. I suoi figli non ebbero così difficoltà ad accasarsi con le altrettanti nobili e facoltose famiglie dei Noja, Carbonelli, Pandolfelli e Tresca-Carducci [Pi]. Testimonianze dell'operato dei due fratelli sono anche presenti nella Cattedrale della SS. Madonna della Madia in Monopoli, dove è presente la cappella Martinelli, all'interno della quale un altare dedicato a Gesù Crocifisso, fu eretto a devozione proprio da Vito Giuseppe e da Francesco Paolo. Sul detto altare è presente lo stemma della casata raffigurante, come detto, la fenice, il lambello, il sole, e sotto questi, la croce di Malta. Sempre nella cappella, tre lapidi, recanti iscrizioni latine, fanno riferimento una alla costruzione dell'altare:

    Fig.2

    Fig. 2: Particolare della lapide, segno di devozione, a Gesù Crocifisso posta dai Martinelli nell'omonima cappella (Cattedrale di Monopoli)


    (traduzione)

    A te, Gesù Crocifisso che non abbandonasti la Croce e a Cui tutto è dovuto, da parte di tutti, Francesco Paolo e Vito Giuseppe, fratelli monopolitani, cavalieri patrizi salernitani della nobile curia dalla quale si distaccò la famiglia.

    A Te consacrassero per sempre questa sede gentilizia acquistata da Vito Giuseppe (forse loro zio) e ora da noi restaurata e decorata

    Anno 1790


    Le altre due lapidi sono sistemate sui due lati opposti della cappella e quella di destra del 1770, quindi anteriore rispetto a quella sopra scritta e riguardante un avo dei due fratelli, -la cui traduzione- recita così:


    CLEMENTE XIV

    AD UN PIU' DURATURO RICORDO DELL'ALTARE

    Appena il diletto figlio Vito Giuseppe fece sì che recentemente fosse promesso da Noi il diritto di un'altra cittadinanza o diocesi. monopolitana a Martinelli, egli stesso nella chiesa della Cattedrale monopolitana eresse ed ornò a proprie spese l'altare del Santissimo Crocifisso, dicendosi pronto, così come altri intendano fare, che siano celebrate alcune messe per la sua famiglia; dicendosi pronto per i celesti doni all'altare di siffatta maniera; l'Altissimo ritenne che la distribuzione di questi fosse dovuta alla Nostra fede, poiché soprattutto desidera che sia decorato da Noi con elargizione; possiamo perciò Noi acconsentire favorevolmente alle pie offerte di costui che prometate in questa situazione (o momento). Inginocchiati su questo altare umilmente, essendo state elevate a Noi le suppliche, come in un qualsiasi momento, un sacerdote di un secolare o di un qualsiasi altro ordine di una congregazione o di una istituzione regolare celebrerà un sacrosanto rito di messa su questo altare, a favore delle anime di colui che promette, quando avrebbe preso la via della vita immortale (quando sarebbe morto) e delle anime dei suoi defunti consanguinei o parenti e di qualsiasi discendente dello stesso, che sarebbero morti congiunti a Dio nell'amore.

    Quando sarà stato celebrato il rito della messa per l'anima di costuti si facciano suffragi in ugual misura per le altre anime e, se fosse stato celebrato presso l'altare privilegiato, sia concessa l'indulgenza per l'autorità apostolica.

    Fino a quando quelli che precedono non hanno bisogno della Nostra apostolica regola di concedere l'indulgenza e degli altri ordinamenti ed ordinazioni apostoliche e dei rimanenti contrari, si faccia in modo di stare bene nei tempi presenti e futuri.

    Scritto in Roma presso Santa Maria Maggiore, sotto l'anello del pescatore, il giorno 17 febbraio 1770, nel primo anno del Nostro pontificato.


    Fig.3

    Fig. 3: Iscrizione latina del Pontefice Clemente IV

    Continuando, il nipote di Francesco Paolo, suo omonimo, figlio di Clemente Martinelli (sindaco di Monopoli nel 1717-1718) fu colui che decise di costruire un piccolo museo, nel bel mezzo dello splendido parco alla "Caccia Reale", attiguo alla villa, nel quale vennero sistemate e lo sono tuttora, due collezioni di materiali archeologici, quella dei Martinelli e quella dei Palmieri. Si tratta di pezzi (vasi a figure nere e rosse, sculture in marmo di età ellenistica e romana) che sicuramente vennero prelevati nell'area di Monopoli e di Egnathia, tra il 1700 e il 1800, e che Francesco Paolo decise di proteggere edificando il museo sorto nel 1837, anno nel quale faceva apporre una lapide commemorativa sulla porta centrale del museo, poiché egli stesso affermava: "...se hai una cosa bella, coprila con sette veli e chiudila con sette porte", anche se poi le mise a disposizione degli studiosi e di tutti coloro che ne erano interessati, come la stessa lapide indica. Francesco Paolo (1803-1875) fu anch'egli patrizio salernitano, cavaliere mauriziano, cavaliere gerosolimitano nonché sindaco di Monopoli negli anni 1834-39 e dal 1846-51.

    Fig.4

    Fig. 4: Lapide commemorativa (Museo villa Meo-Evoli)

    [ All'indice / To the index ] ALTRI TENIMENTI IMMOBILIARI

    Oltre alla villa Meo-Evoli, i Martinelli possedevano in Monopoli, il palazzo nell'attuale via 0. Comes, 26 , che è stato sede della sezione del Conservatorio Musicale; un palazzo in Largo Plebiscito n. 7, una casa in Chiasso Purgatorio; nonché locali., rimesse e botteghe, case, magazzini, sottani e stalle. Possedettero inoltre masserie a Cervarulo (70 tomoli), a Tortorella (oltre 25 tomoli), a Carluccio (oltre 100 tomoli), a Baione (oltre 70 tomoli) e poi la masseria Losciale, quella di Montalbano, la masseria Procopio nei pressi della stazione di Egnazia, la masseria Lamandia, la masseria Covello e quella di Magnetta ed infine la già citata masseria Spina. [Pi]

    Le masserie sorsero come fenomeno tipico della società agraria locale dal XVI secolo in poi. A causa del continuo incremento demografico la domanda dei beni di consumo spinse all'esplorazione e al dissodamento di molte contrade monopolitane. Ogni comunità insediatasi divenne, poi, centro di coltivazione agricola strutturata in modo da essere autosufficiente: dotata di chiesa, mulino, forno, case dei coloni, stalle, pollai e colombaie. Il nucleo centrale della costruzione, era quasi sempre costituito da un grande edificio quadrangolare a due piani comunicanti, munito di ponte levatoio, campana, caditoie, feritoie, garitte e cinta. Tutte le facciate esterne venivano realizzate in tufo e addossate alla parete rocciosa opportunamente ritagliata. I portali venivano preceduti solitamente da una gradinata e gli ingressi sormontati da lunette affrescate (ad es. la Madonna della Madia fra i Santi è raffigurata sul portale del trappeto della masseria Spina).

    Dal primo piano si accedeva al pianterreno tramite una botola ed una scala a pioli, nel pianterreno vi erano armi e viveri necessari per un mese. In caso di assedio veniva alzato il ponte levatoio che poggiava su di una scalinata e dal terrazzo attraverso le caditoie, costruite in direzione dell'ingresso e delle finestre, si facevano cadere giù pietre ed olio bollente; attraverso le feritoie si sparava con gli archibugi. [Mo]

    Dal XVI secolo in poi le masserie fortificate divennero espressione avanzata di difesa contro gli attacchi dei turchi e dei briganti, nonché centri fiorenti di produzione e trasformazione dei prodotti agricoli, ne è un esempio la trasformazione delle olive in olio, prodotto molto richiesto che non a caso i Martinelli esportarono con successo sia in Italia che all'estero.

    [ All'indice / To the index ] LA VILLA: DESCRIZIONE ARCHITETTONICA, GLI ESTERNI E GLI ARREDI INTERNI

    Fig.5

    Fig. 5: Prospetto della Villa Meo-Evoli

    Villa Meo-Evoli fu edificata da Vito Giuseppe Martinelli, sulla collina della Cozzana, quando per raggiungerla da Monopoli si andava ancora a basto.

    La scelta di quella contrada non fu casuale. La facilità e i pochi chilometri da percorrere la rendevano piacevolmente raggiungibile dalla città, inoltre la sua leggera altitudine rispetto al livello del mare nonché l'esigua distanza da esso, consentiva e consente tuttora di godere di un'aria fresca, odorosa di pini, querce e ulivi, mitigata dalla brezza marina. Dunque, la dolcezza del clima e la facile raggiungibilità spinsero il Martinelli a realizzare qui l'edificazione della villa per il suo riposo estivo, lontano dalle fatiche abituali di ricco commerciante di stoffe, olio e vino.

    La villa fu ubicata ai margini di un bosco di querce e di pini che prese il nome di "Parco Caccia Reale". A questa si accedeva da un largo viale che era, in origine, seguito da maestosi e fitti muri di cipressi bordati da cespugli di bosso; mentre ai lati di essi si trovavano due frutteti circondati perimetralmente da colonnati e pergolati di uve. Nel centro di questi si ergevano due capanne circolari di bosso che armonizzavano con i verdi filari di cipressi. [Re]

    Le cose nel corso degli anni sono andate mutando. Il viale è ora costeggiato sui due lati da maestosi alberi che con le loro fronde sembrano ricoprirlo creando ombra e, al di là di essi, da entrambi i lati, due distese di prato inglese circondano centralmente, due semplici fontane circolari.

    Il sontuoso ed ampio edificio, il cui inizio dei lavori non è dato sapere, fu ultimato nel 1792 come risulta dalla lapide, posta a sinistra in alto rispetto alla porta di ingresso, a commemorazione della fine dei lavori; e secondo riferimenti orali, sia l'architetto che i maestri scalpellini vennero da Napoli.

    Fig.6

    Fig. 6: Lapide commemorativa

    La villa presenta un prospetto costituito da un alto colonnato e, da due colonnati, identici al primo, disposti lateralmente; tutti e tre si pongono dinanzi a tre loggiati. I due loggiati laterali si prolungano in ariose terrazze con giardini pensili che allargano il frontale della villa. Quello esposto ad ovest conduce, attraverso un piccolo viale, alla fontana settecentesca del "Bacchetto" e, poco più in là, ad una capanna la cui struttura è in ferro, ricoperta di pampini di vite canadese.

    Fig.7

    Fig. 7: Fontana del Bacchetto

    Da qui attraverso un sentiero detto "viale della moquette", perché ricoperto di fitto muschio verde pallido, prende inizio il parco. In puro stile rococò il giardino, situato sulla parte posteriore della villa, degrada man mano verso la piana in direzione del mare. Tutt'intorno, nel fitto della vegetazione, compaiono busti, colonne con capitelli sorreggenti vasi, statue, sarcofagi, iscrizioni latine; rovine vere e false vi si alternano.

    Fig.8

    Fig. 8: Particolare del giardino

    Da una fontana circolare con una sottostante vasca, si diparte un altro sentiero, bordato di cespugli di verde bosso sagomato a cesoie e adorno di una serie di busti di marmo di età classica, che conduce al padiglione del "Museo".

    Fig.9

    Fig. 9: Particolare del sentiero che conduce al Museo

    Il loggiato esposto a Mezzogiorno, anch'esso dotato di terrazzo e giardino pensile, termina con quella che anticamente era l'abitazione dei custodi della villa, ma che ora viene utilizzata come rimessa. Anche da qui prende inizio la vegetazione, per poi congiungersi con quella del restante parco, impreziosita da altre fontane settecentesche: quelle dei due putti, del centauro e della fontana a forma di barca con tartaruga.

    Fig.10

    Fig. 10: Fontana con barca e tartaruga

     
    Fig.11

    Fig. 11: Particolare del prospetto con vetrata

    Il loggiato posto in prospetto, invece, era originariamente, aperto, ma nel primi anni del Novecento fu realizzata un'ampia vetrata, costituita da tessere di vetro soffiato, che lasciando passare i raggi solari crea l'ambiente ideale per una fitta vegetazione di ficus, felci, filodendri, palme e papiri che trovano sistemazione nella parte coperta dell'ampia veranda, la quale poi è impreziosita da un grande lampadario di cristallo soffiato e da alcuni affreschi, coperti dalla vegetazione, ed in via di restauro. Attigua alla veranda è la scalinata in pietra che conduce alla porta d'entrata del piano nobiliare.

    Fig.12

    Fig. 12: Particolare interno della vetrata con lampadario di vetro di Murano

    Omissis...



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    Manoscritti e fonti non esplicitamente citati sono stati reperiti presso:
    - Biblioteca comunale P. Rendella di Monopoli
    - Archivio Unico Diocesano di Monopoli

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